I più comuni tumori del gatto
sono: il linfoma , il carcinoma squamoso, il carcinoma mammario ed il sarcoma
dei tessuti molli. Bisogna però tenere bene a mente che nella specie felina,
più che in altre, esistono neoformazioni non neoplastiche, ma ascrivibili a
lesioni granulomatose oppure forme di linfoadenopatia generalizzata dovuta a
cause infettive, quindi non necessariamente tumorali.
Un accurato esame clinico è il
primo e fondamentale passo nell’iter diagnostico delle neoplasie: purtroppo
ogni tumore è una storia a sé, pertanto diventa importante cogliere anche i
segni meno specifici quali l’alterazione dell’appetito, la riduzione di peso o
di attività motoria quotidiana. In alcuni casi il gatto si presenza con masse
visibili e facilmente palpabili, come ad esempio lesioni mammarie o cutanee
oppure sintomi facilmente correlabili alla presenza di tumore in una specifica
sede, quali alitosi, riduzione del grooming o pelo unto e maleodorante in
presenza di neoplasie del cavo orale. Altri pazienti manifestano invece segni
legati a metastasi tumorali: tipico esempio sono le lesioni digitali causate da
metastasi di carcinomi polmonari. Le
sindromi paraneoplastiche cutanee nel gatto non sono frequenti, ma sempre
gravi come ad esempio l’alopecia
correlabile a carcinoma epatico o pancreatico o del dotto bilare e, ancora la
dermatite esfoliativa da timoma.
La chiave per gestire al meglio i
pazienti oncologici è ottenere una diagnosi accurata in maniera tale da poter
stadiare il tumore ed instaurare una terapia appropriata. I soli dati clinici
non sono bastanti per stabilire il comportamento della neoplasia: il gold
standard rimane l’istopatologia, previo esame citologico. La citologia consente
normalmente un approccio orientativo per
stabilire se si tratta di lesione infiammatoria o tumorale, benigna o maligna e
se siamo di fronte a cellule epiteliali, mesenchimali o rotondocellulari. Il vantaggio è che si tratta di un esame a
minor invasività e costi limitati, ma purtroppo spesso risulta soltanto “indicativo”
perché osserva cellule singole al di fuori del loro contesto. L’esame istopatologico, invece, richiede una
biopsia ossia l’escissione di una parte o dell’intera neoformazione, il che da
un quadro d’insieme più dettagliato. Gli svantaggi risiedono nella maggior
invasività, indipendentemente dalla tecnica usata, nella necessità di
un’anestesia, nella maggior lentezza della processazione del campione e nei
costi maggiori. D’altro canto i prelievi sono più ricchi di materiale,
permettono di analizzare non solo le singole cellule ma la loro organizzazione
all’interno di un tessuto ed, in tal modo, di stabilirne l’origine e il grado
di invasività.
La stadiazione clinica dei
tumori, punto nevralgico nell’iter diagnostico, consiste nello stabilire l’origine
del tumore primario, il grado di coinvolgimento delle strutture adiacenti e la
presenza di eventuali metastasi locali e/o ai linfonodi regionali. Questo approccio consente di valutare quale
sia il miglior trattamento possibile e offre informazioni anche in senso
prognostico. A seconda della sede della
neoplasia, per svelarne l’origine e la diffusione si deve ricorrere, oltre alla
visita clinica, alla diagnostica per immagini o all’esame endoscopico, sempre
supportati dall’indagine citologica e istopatologica. La scelta dello strumento, radiografie,
endoscopie, TAC, risonanza magnetica o endoscopia, dipende dal tumore che ci si
trova a dover affrontare. Un aspetto fondamentale rimane comunque sempre la valutazione dei linfonodi locali e
regionali in corrispondenza delle neoformazioni, perché spesso queste tendono a
metastatizzare attraverso questa via.
Infine per quanto riguarda
l’aspetto terapeutico delle neoplasie, in linea molto generale si può affermare
che la chirurgia e la radioterapia possono essere considerati come i
trattamenti locali elettivi in caso di tumori primari anche quando c’è
coinvolgimento linfonodale, mentre la chemioterapia viene solitamente messa in
atto laddove si hanno tumori diffusi a livello sistemico.
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