Il rigurgito è l’espulsione passiva retrograda di cibo non
digerito, acqua e/o saliva senza sforzo apparente: la differenza rispetto al
vomito è dovuta al fatto che il rigurgito non prevede contrazione dei muscoli
addominali. Questo fenomeno è provocato da un’anomalia esofagea che può
presentarsi in qualsiasi punto dell’organo, ricordando un’importante differenza
anatomica del gatto, rispetto al cane, ossia la presenza di muscolatura liscia
nel terzo caudale dell’esofago (assente nei canidi).
Le cause di rigurgito nel gatto possono essere:
ü esofagite: infiammazione dell’esofago da reflusso di succo gastrico
ü corpi estranei
ü stenosi esofagea acquisita: occlusione del tubo esofageo spesso conseguente ad esofagiti non trattate
ü compressione esterna con restringimento del lume esofageo: può derivare da un’anomalia dell’anello vascolare o da una neoformazione nel mediastino craniale
ü neoformazione esofagea: presenza di tumori dell’esofago quali carcinoma squamocellulare, linfoma oppure di granulomi o ascessi
ü alterazione della motilità esofagea (compreso il megaesofago): esistono diverse patologie in grado di provocarla come la miastenia gravis, disautonomia felina, intossicazione da piombo, malattie neuromuscolari sistemiche. Ci sono inoltre razze predisposte, soprattutto quelle orientali ed il siamese
La sottile
differenza “visiva” tra rigurgito e vomito contrasta con la grande differenza
di approccio terapeutico, pertanto è molto importante l’anamnesi del paziente
per poter inquadrare correttamente il sintomo; in casi dubbi, è consigliabile
ricorrere a filmati. Altri elementi da tener in considerazione sono: età di
insorgenza dei segni clinici, presunta ingestione di sostanze tossiche, farmaci
o corpi estranei ed eventuali interventi chirurgici recenti, per la possibilità
di reflusso di succo gastrico durante l’ anestesia.
Spesso i
gatti che rigurgitano evidenziano una concomitante perdita di peso nonostante un
appetito mantenuto ed, in generale, uno stato del sensorio nella norma. La presenza di altri segni clinici è dettata
dalla causa sottostanti il rigurgito ad esempio, in corso di patologie
neuromuscolari, si avrà una debolezza generalizzata oppure segni di tosse
qualora il rigurgito abbia portato ad una polmonite ab ingestis.
L’approccio
diagnostico al rigurgito nel gatto prevede innanzitutto esami del sangue e
delle urine, volti a stabilire lo stato generale del paziente ed eventuali
complicanze dovute a squilibri
elettrolitici, anemia o presenza di patologia infiammatoria. L’esame
radiografico del torace è un valido ausilio diagnostico, in particolare in
corso di patologie quali: megaesofago, neoformazioni mediastiniche (linfoma,
timoma), masse esofagee o periesofagee e corpi estranei radiopachi. Normalmente
l’esofago non è visibile radiograficamente, se lo diventa, allora bisogna
approfondire. L’endoscopia è un altro strumento utile per identificare anomalie
strutturali, meno su quelle funzionali. Qualora i suddetti test siano risultati
inconcludenti o si sia identificato un disturbo di motilità, è consigliabile
procedere con un’indagine neurologica, ambito nel quale può ricadere il
megaesofago.
Il
rigurgito è solo un segno di malattia, pertanto la terapia dipende dalla causa
sottostante che bisogna risolvere:
ü esofagite: è una patologia spesso
sotto-diagnosticata perché spesso subdola nella presentazione, con conseguenze
potenzialmente molto gravi quali la stenosi esofagea. Se si ha un minimo
dubbio, pertanto, è accettabile instaurare una terapia ex juvantibus e valutare un eventuale miglioramento, anche prima di
aver ottenuto una diagnosi definitiva strumentale: fluidoterapia per prevenire
eventuali squilibri idro-elettrolitici da anoressia, sucralfato per bocca al
fine di proteggere dal reflusso gastrico e antiacidi (omeprazolo, famotidina,
ranitidina). In presenza di concomitante vomito è opportuno introdurre
antiemetici come la metoclopramide, molto efficace per via endovenosa, dotata
anche di attività procinetica o il maropitant ad esclusiva capacità
antiemetica. In alcune situazioni si deve ricorrere ad una terapia analgesica,
poiché l’esofagite può risultare dolorosa: gli oppioidi rappresentano un’ottima
scelta, in particolare la buprenorfina. Importante risulta poi il supporto
nutrizionale con predilezione per cibi a basso tenore di grassi sebbene l’obbiettivo
sia far mangiare il gatto, quindi spesso bisogna provare alimenti differenti
fino a trovare quello più gradito. Nei casi in cui il rigurgito persista e
quando si è controllato il vomito, può essere necessario ricorrere ad una sonda
alimentare gastrostomica in attesa di risilvere l’infiammazione esofagea. In
casi molto gravi, al fine di prevenire l’evoluzione a stenosi esofagea, è opportuno
utilizzare il prednisolone
ü stenosi esofagee: è un restringimento
del tubo esofageo derivante da un’infiammazione grave o non trattata,
generalmente entro tre settimane dall’insulto iniziale. Richiede un intervento
chirurgico consistente nell’inserimento di una sonda a palloncino, procedura
complessa e spesso da ripetere più volte
ü corpi estranei esofagei: i gatti
possono ingerire vari oggetti (aghi, ami da pesca) e la possibilità di
rimuoverli per via endoscopica dipende dalla forma, dimensione, tempo di
permanenza ed eventuali complicanze dovute alla loro presenza in esofago. In
casi estremi si deve ricorrere a rimozione chirurgica ma tale pratica non è
esente da complicazioni soprattutto deiescenze della ferita o infezioni secondarie
ü neoformazioni esofagee: rare nel
gatto. Il più comune tumore esofageo è il carcinoma squamocellulare. La
rimozione chirurgica ha le stesse controindicazioni sopra descritte
ü malattie neuromuscolari: il loro
trattamento si fonda sul riconoscimento dell’eziologia. In presenza di
megaesofago si ricorre a terapie di sostegno e supplementari rivolte alla
gestione della patologia sottostante. E’ sempre consigliabile somministrare
alimenti di diversa consistenza, per stabilire quale sia meglio tollerato,
preferibilmente a basso tenore di grassi, suddivisi in piccoli e frequenti
pasti, conferiti tenendo la ciotola più in alto possibile in modo tale da
favorire la progressione del cibo lungo il tubo esofageo e, quando possibile,
tenendo l’animale in posizione eretta per quindici minuti (cosa difficilmente
realizzabile coi felini!)
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