Ad oggi le conoscenze sulla leishmaniosi felina sono ancora poche ed incerte se paragonate a quella canina. .La leishmaniosi è una malattia parassitaria causata da un
protozoo intracellulare obbligato del genere Leishmania: in Europa la specie di leishmania infettiva anche nei
felini è L. infantum. Il protozoo viene trasmesso attraverso puntura di
insetti appartenenti al genere Phlebotomus
(Diptera, Psychodidae) noti come pappataci.
Casi recenti e studi sulla sua
diffusione sembrano dimostrare che anche i gatti potrebbero agire come reservoir di malattia, ma è ancora
incerto se rappresentino ospiti accidentali, primari o secondari ossia se la specie Leishmania
sia in grado o meno di persistere,
temporaneamente o indefinitivamente, in una popolazione di soggetti infetti. I
dati a disposizione parrebbero propendere per l’ipotesi secondo cui anche i
felini risultano un potenziale serbatoio di malattia e le motivazioni a favore
sono:
ü i
gatti possono infettarsi senza manifestare la malattia e, quando la sviluppano,
ha una andamento cronico
ü la
Leishmania si trova nella sua forma
infettante a livello del circolo ematico felino
ü i
gatti convivono con uomini in zone definite endemiche per leishmaniosi canina
ü gatti
malati non guariscono senza una terapia anti leishmaniotica
A tutto questo si deve aggiungere
il fatto che, per sua natura, il gatto ha caratteristiche comportamentali che
possono facilmente esporlo a punture da parte dei pappataci, essendo un
predatore prevalentemente notturno in grado di allontanarsi dalla sua zona di
residenza.
Le maggiori difficoltà nell’inquadrare
con precisione il problema della
leishmaniosi felina risiedono nel fatto che un gran numero di soggetti infetti
risulta asintomatico. Dai vari studi condotti sulla leishmania nel gatto, in
linea generale possiamo dire che tra le manifestazioni più tipiche di malattia abbiamo
quelle dermatologiche quali noduli, papule,
ulcere e/o croste essudatizie e talora emorragiche, particolarmente diffuse nelle aree di giunzione muco-cutanea, e lesioni oculari. In concomitanza o meno
con le suddette sono annoverate alterazioni a livello viscerale,
soprattutto di fegato e milza, che possono risultare mortali; meno frequente
sembrerebbe essere il danno a livello renale, tipico invece della leishmaniosi
canina. Un’altra forma riportata di leishmaniosi felina descrive una
linfoadenopatia generalizzata accompagnata da febbre, croste, alopecia a livello
di testa e addome, ulcere su sporgenze ossee, lieve periodontite, onicogrifosi,
cachessia, atrofia muscolare e debolezza. Soggetti positivi alla Leucemia e,
soprattutto, all’Immunodeficienza Felina risulterebbero più predisposti a
contrarre e manifestare la leishmaniosi. Alcuni studi, infine, ipotizzano ci
sia addirittura una relazione tra carcinoma squamocellulare e leishmaniosi
felina.
La diagnosi di Leishmaniosi si fonda primariamente su
indagini di laboratorio (esami ematobiochimici, osservazione diretta mediante
citologia, PCR, immunofluorescenza indiretta, metodiche ELISA) ma non tutte
quelle storicamente descritte per la leishmaniosi canina risultano altrettanto
attendibili nella ricerca di quella felina. I felini hanno una naturale
resistenza nei confronti di questa malattia che li porta spesso a guarire
spontaneamente e a manifestare minime alterazioni patologiche. La risposta immunitaria del gatto, infatti,
sembrerebbe differire da quella del cane e questo spiega l’elevato numero di
soggetti asintomatici e la variabilità nelle manifestazioni cliniche di
malattia. E’ stato visto che le lesioni tendono a comparire prima della
produzione di anticorpi contro-leishmania
mentre la sieroconversione (aumento del titolo anticorpale) si verifica in
corso di guarigione dei segni clinici dermatologici, dimostrando che nel gatto
l’immunità umorale gioca un ruolo difensivo nei confronti del protozoo. Da ciò
si evince inoltre come i convenzionali test sierologici basati sulla
quantificazione degli anticorpi non sempre risultino attendibili nel rilevare l’infezione.
Ecco perché l’immunofluorescenza indiretta (IFA) comunemente utilizzata nelle
indagini sulla leishmaniosi canina, nei felidi va eseguita e interpretata in
concomitanza con altre metodiche quali la PCR o l’evidenziazione diretta del
parassita.
Ad oggi si sa ancora molto poco
su un’eventuale terapia contro la leishmaniosi felina anche perché la maggior
parte degli studi farmacologici fin qui condotti si sono concentrati sulla
leishmaniosi canina. Attualmente il European Advisory Board per le Malattie del
Gatto suggerisce l’utilizzo di allopurinolo ad un dosaggio di 10-20mg/Kg ogni
12 o 24h; altre combinazioni di farmaci sono in via di studio. Una terapia di
supporto risulta inoltre fondamentale soprattutto in corso di leishmaniosi viscerale
quando colpisce e compromette fegato e reni.
(Informazioni tratte dal Journal of Feline Medicine, vol 18, Issue 6)
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