La rabbia è una delle più antiche e temute malattie sia nell'uomo che negli animali. Diffusa a livello mondiale, ad oggi il numero di morti per rabbia si stima essere tra i 10.000 e 40.000 soggetti all'anno e sono 10 milioni le persone che hanno ricevuto cure ogni anno dopo un contatto con animali sospetti.
Il virus appartiene alla famiglia Rhabdoviridae, che comprende oltre 175 agenti virali patogeni per vertebrati, invertebrati e piante. Quello di nostro interesse fa parte del genere Lyssavirus ed ha come reservoirs naturali: il pipistrello, la volpe rossa, il procione, la moffetta ed il visone, tanto in Europa quanto in Sud America. Il controllo e la prevenzione di tale malattia impone problematiche differenti a seconda delle zone in cui è diffusa: in molti paesi europei adeguati programmi vaccinali, tanto sui selvatici quanto sugli animali domestici, studi di laboratorio, osservazioni cliniche e rigorosa sorveglianza sulle misure adottate hanno consentito, nel tempo, la completa eradicazione del virus.
Nonostante la rabbia nel gatto venga considerata quasi un "sotto-prodotto" di quella che colpisce il cane o i selvatici, le caratteristiche comportamentali dei felini e i sintomi clinici della malattia la rendono egualmente importante dal punto di vista della sanità pubblica.
Gli animali rabidi sono l'unica fonte di diffusione del virus: esso è presente nella saliva già qualche giorno prima della comparsa dei segni clinici ed è trasmesso mediante morso e/o contatto con ferite a livello di mucose o cute. Il sangue degli animali rabidi è ugualmente considerato infetto.
Nel gatto il periodo medio d'incubazione può variare da 2 settimane a qualche mese o, addirittura, anno: questo dipende sia dalla sede d'inoculo che dalla dose di virus trasmessa (Jackson, 2002; Charlton et all, 1997). Una volta penetrato,il virus migra lungo i nervi periferici, dal punto d'ingresso verso il sistema nervoso centrale: tanto più lunga è la distanza dal SNC, tanto maggiore sarà il periodo d'incubazione.
La maggior parte dei segni clinici è legata proprio alla disfunzione creata dal virus stesso a livello del sistema nervoso.
Sebbene gli antigeni della rabbia siano di per se' in grado di determinare una risposta adeguata e massiva da parte di tutti i sistemi difensivi dell'organismo, questa diviene efficace solo in fase tardiva, ovvero dopo la comparsa dei sintomi clinici: è questa la ragione per la quale la maggior parte dei soggetti è destinato alla morte.
La vaccinazione preventiva o, all'occorrenza post-infezione, assume un ruolo di fondamentale importanza, perchè porta l'organismo a produrre un titolo anticorpale tale da proteggere, per tempo, dai danni creati dal virus.
Nel gatto esistono 2 forme cliniche di malattia: quella "furiosa" (95% dei casi) e quella paralizzante. Entrambe hanno una fase "prodromica" caratterizzata da segni clinici del tutto aspecifici quali anoressia, febbre, vomito,diarrea, accompagnati solo talvolta da veri e propri segni neurologici.
A questa seguono marcati cambiamenti del comportamento, rispetto alla norma del soggetto, che possono manifestarsi in eccessiva ed ingiustificata aggressività o in altrettanta esagerata "timidezza" o diffidenza, ed ancora in vocalizzazioni anomale.
La morte sopraggiunge da 1 a 10 giorni dopo la comparsa dei segni clinici.
Dato l'elevato rischio per la salute pubblica, in questi soggetti diviene di fondamentale importanza sia la diagnosi basata sulla sintomatologia, che la ricerca di laboratorio post-mortem.
I tradizionali vaccini inattivati garantiscono, tanto nel cane quanto nel gatto, un'efficace azione protettiva. I vaccini di ultima generazione, inoltre, sono in grado di creare protezione crociata per più genotipi del virus.
Nelle zone endemiche la vaccinazione antirabica è considerata fondamentale; in quelle in cui la malattia non è presente, è comunque da raccomandarsi nel caso di trasporto del proprio animale in aree a rischio.
A differenza di altri vaccini inattivati, quello contro la rabbia garantisce un'adeguata protezione già dopo una singola dose: il picco anticorpale, che dev' essere uguale o maggiore a 0,5 UI/ml, viene raggiunto dopo 4-6 settimane dall'iniezione. La risposta immunitaria del gatto alla vaccinazione risulta essere ancora più efficace di quella del cane.
Nei gattini la prima vaccinazione può essere eseguita dopo le 12 settimane di vita: prima, l'animale è coperto dagli anticorpi materni che andrebbero ad influire negativamente su un'eventuale iniezione di vaccino, rendendola vana.
Sebbene le case produttrici garantiscano una durata di copertura pari o maggiore a 3 anni , la legislazione locale o nazionali raccomanda richiami annuali.
Nei soggetti FIV+ , la protezione migliore risulta l'isolamento dagli altri gatti ed il confinamento: laddove sia impossibile impedirgli di uscire, la vaccinazione antirabica è fortemente consigliata.
Nei soggetti FeLV+, vale il suddetto discorso; nel caso in cui escano all'esterno, è importante sapere che il loro il sistema immunitario potrebbe non rispondere adeguatamente ad una singola dose, si raccomandano perciò richiami più ravvicinati (ad esempio ogni 6 mesi). E’ bene ricordare che in Italia non è presente la rabbia.
Il virus appartiene alla famiglia Rhabdoviridae, che comprende oltre 175 agenti virali patogeni per vertebrati, invertebrati e piante. Quello di nostro interesse fa parte del genere Lyssavirus ed ha come reservoirs naturali: il pipistrello, la volpe rossa, il procione, la moffetta ed il visone, tanto in Europa quanto in Sud America. Il controllo e la prevenzione di tale malattia impone problematiche differenti a seconda delle zone in cui è diffusa: in molti paesi europei adeguati programmi vaccinali, tanto sui selvatici quanto sugli animali domestici, studi di laboratorio, osservazioni cliniche e rigorosa sorveglianza sulle misure adottate hanno consentito, nel tempo, la completa eradicazione del virus.
Nonostante la rabbia nel gatto venga considerata quasi un "sotto-prodotto" di quella che colpisce il cane o i selvatici, le caratteristiche comportamentali dei felini e i sintomi clinici della malattia la rendono egualmente importante dal punto di vista della sanità pubblica.
Gli animali rabidi sono l'unica fonte di diffusione del virus: esso è presente nella saliva già qualche giorno prima della comparsa dei segni clinici ed è trasmesso mediante morso e/o contatto con ferite a livello di mucose o cute. Il sangue degli animali rabidi è ugualmente considerato infetto.
Nel gatto il periodo medio d'incubazione può variare da 2 settimane a qualche mese o, addirittura, anno: questo dipende sia dalla sede d'inoculo che dalla dose di virus trasmessa (Jackson, 2002; Charlton et all, 1997). Una volta penetrato,il virus migra lungo i nervi periferici, dal punto d'ingresso verso il sistema nervoso centrale: tanto più lunga è la distanza dal SNC, tanto maggiore sarà il periodo d'incubazione.
La maggior parte dei segni clinici è legata proprio alla disfunzione creata dal virus stesso a livello del sistema nervoso.
Sebbene gli antigeni della rabbia siano di per se' in grado di determinare una risposta adeguata e massiva da parte di tutti i sistemi difensivi dell'organismo, questa diviene efficace solo in fase tardiva, ovvero dopo la comparsa dei sintomi clinici: è questa la ragione per la quale la maggior parte dei soggetti è destinato alla morte.
La vaccinazione preventiva o, all'occorrenza post-infezione, assume un ruolo di fondamentale importanza, perchè porta l'organismo a produrre un titolo anticorpale tale da proteggere, per tempo, dai danni creati dal virus.
Nel gatto esistono 2 forme cliniche di malattia: quella "furiosa" (95% dei casi) e quella paralizzante. Entrambe hanno una fase "prodromica" caratterizzata da segni clinici del tutto aspecifici quali anoressia, febbre, vomito,diarrea, accompagnati solo talvolta da veri e propri segni neurologici.
A questa seguono marcati cambiamenti del comportamento, rispetto alla norma del soggetto, che possono manifestarsi in eccessiva ed ingiustificata aggressività o in altrettanta esagerata "timidezza" o diffidenza, ed ancora in vocalizzazioni anomale.
La morte sopraggiunge da 1 a 10 giorni dopo la comparsa dei segni clinici.
Dato l'elevato rischio per la salute pubblica, in questi soggetti diviene di fondamentale importanza sia la diagnosi basata sulla sintomatologia, che la ricerca di laboratorio post-mortem.
I tradizionali vaccini inattivati garantiscono, tanto nel cane quanto nel gatto, un'efficace azione protettiva. I vaccini di ultima generazione, inoltre, sono in grado di creare protezione crociata per più genotipi del virus.
Nelle zone endemiche la vaccinazione antirabica è considerata fondamentale; in quelle in cui la malattia non è presente, è comunque da raccomandarsi nel caso di trasporto del proprio animale in aree a rischio.
A differenza di altri vaccini inattivati, quello contro la rabbia garantisce un'adeguata protezione già dopo una singola dose: il picco anticorpale, che dev' essere uguale o maggiore a 0,5 UI/ml, viene raggiunto dopo 4-6 settimane dall'iniezione. La risposta immunitaria del gatto alla vaccinazione risulta essere ancora più efficace di quella del cane.
Nei gattini la prima vaccinazione può essere eseguita dopo le 12 settimane di vita: prima, l'animale è coperto dagli anticorpi materni che andrebbero ad influire negativamente su un'eventuale iniezione di vaccino, rendendola vana.
Sebbene le case produttrici garantiscano una durata di copertura pari o maggiore a 3 anni , la legislazione locale o nazionali raccomanda richiami annuali.
Nei soggetti FIV+ , la protezione migliore risulta l'isolamento dagli altri gatti ed il confinamento: laddove sia impossibile impedirgli di uscire, la vaccinazione antirabica è fortemente consigliata.
Nei soggetti FeLV+, vale il suddetto discorso; nel caso in cui escano all'esterno, è importante sapere che il loro il sistema immunitario potrebbe non rispondere adeguatamente ad una singola dose, si raccomandano perciò richiami più ravvicinati (ad esempio ogni 6 mesi). E’ bene ricordare che in Italia non è presente la rabbia.
A cura della Dott.ssa Martina Chiapasco
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