martedì 30 luglio 2013

L’otite esterna nel cane

Col termine otite esterna si definisce un processo infiammatorio che interessa il padiglione auricolare ed il condotto uditivo esterno.

otite cane

L’otite può avere una singola causa o essere provocata da diversi fattori. Proprio per questo motivo le cause di otite vengono classificate in:

-fattori predisponenti
-cause primarie
-cause secondarie
-fattori perpetuanti

I fattori predisponenti sono le condizioni che aumentano il rischio che l’otite si sviluppi.
Alcuni fattori predisponenti sono: la conformazione del canale uditivo, i fattori climatici, le patologie ostruttive e l’eccessiva quantità di peli nel condotto uditivo tipica di alcune razze.

Le cause primarie  sono quelle che da sole possono provocare otite e sono quindi quelle più importanti:
- parassiti come Otodectes cynotis, Sarcoptes e Demodex
- corpi estranei come le ariste di graminacee
- allergie
- difetti di cheratinizzazione primari o secondari a endocrinopatie
- malattie autoimmuni
- disordini ghiandolari

Le cause secondarie possono causare otite in un orecchio che presenta già delle anomalie o in associazione ai fattori predisponenti. Queste sono:
- batteri
- lieviti
- reazioni irritative da contatto con farmaci topici

citologico orecchie

I fattori perpetuanti sono il risultato dell’infiammazione cronica dell’orecchio e ostacolano la guarigione dell’otite:
- alterazioni patologiche progressive
- alterazioni della membrana timpanica
- otite media

Nel corso dei prossimi articoli tratteremo più dettagliatamente le cause di otite e parleremo della terapia di questa patologia.

A cura della dott.ssa Francesca Costanzo della Clinica Veterinaria Borgarello.

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venerdì 26 luglio 2013

Laserterapia veterinaria

LASER e` l’acronimo di Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation (amplificazione di luce per mezzo di un’emissione stimolata di radiazioni). Il laser e` ampiamente applicato nel campo della medicina umana e veterinaria e la gamma di patologie che vengono trattate con il i laser a bassa potenza risulta piuttosto vasta.
La laserterapia e` una terapia fisica che utilizza la luce per produrre effetti terapeutici e benefici laser sull’organismo.Il raggio laser viene veicolato con un trasduttore sulla pelle affinché l’energia luminosa venga assorbita dal tessuto dove interagisce con varie molecole dette cromofori, portando a diversi effetti biologici.
La terapia laser e` una tecnica terapeutica non invasiva, indolore e di semplice applicazione. I principali effetti terapeutici della luce laser utilizzati nella terapia dei piccoli animali sono l’effetto antinfiammatorio, l’effetto analgesico, l’effetto antiedemigeno e l’effetto biostimolante. Tutti queste azioni benefiche sono prodotte dagli effetti biologici indotti dalla radiazione laser a livello cellulare e tissutale.
L’interazione della radiazione laser a livello tissutale può produrre tre tipi di effetti biologici:
  1. effetto fotochimico
  2. effetto fototermico
  3. effetto fotomeccanico.

laser-terapia-veterinaria

Effetto fotochimico
Le reazioni fotochimiche, conseguenti all’assorbimento dell’energia da parte dei cromofori, possono produrre processi fotobiologici complessi che si traducono principalmente nell’aumento di produzione di ATP, nell’incremento nella sintesi delle proteine e degli acidi nucleici, nell’attivazione enzimatica e nell’aumento del turnover metabolico.L’ATP rappresenta la fonte energetica della cellula, per intenderci la sua benzina, il trattamento con il laser porta ad una maggior sintesi dell’ATP ed una maggior disponibilità di energia a livello cellulare. Questo facilita il recupero funzionale e morfologico in caso di danni provocati da processi infiammatorie degenerativi o da eventi traumatici.
Effetto fototermico
Gli effetti fototermici derivano dalla conversione dell’energia ottica in calore: si è visto che a livello terapeutico, gli incrementi di temperatura fino a 42° promuovono gli effetti anabolici, analgesici e antinfiammatori sui tessuti. L’effetto termico riesce ad aumentare la velocita` di molte reazioni biochimiche, indurre una moderata vasodilatazione, con un maggior apporto di ossigeno e sostanze nutritive ai tessuti. Parallelamente determina una aumentata velocita` di rimozione dei cataboliti inoltre il calore induce un rilassamento locale dei tessuti con un conseguente effetto analgesico.
Effetto fotomeccanico
L’effetto fotomeccanico deriva dall’effetto fototermico e induce nella matrice extracellulare delle modificazioni che si traducono in stimoli in grado di stimolare le cellule e favorire i processi di guarigione. L’aumento della peristalsi linfatica provocata dall’effetto fotomeccanico facilita il drenaggio degli edemi di origine infiammatoria e la riattivazione del microcircolo tissutale. L’ossigenazione dei tessuti trattati risulta maggiore.
Ma lasciamo questa parte teorica per vedere clinicamente perché possono essere utilizzati i laser terapeutici e tramite quali azioni svolgono i loro effetti benefici. Dalla somma di queste azioni derivano tutti i campi e le indicazioni di utilizzo di queste terapie.
  • Azione antinfiammatoria: grazie alla stimolazione biologica dei tessuti con l’aumento dell’eliminazione dei cataboliti, la vasodilatazione con incremento dell’apporto di ossigeno e sostanze nutritizie, e la stabilizzazione delle membrane cellulari.
  • Azione antidolorifica: aiutando il drenaggio (grazie alla vasodilatazione) delle sostanze algogene a livello delle terminazioni nocicettive e incrementando la produzione di sostanze morfino-mimetiche quali endorfine ed encefaline che hanno già di per sé attività analgesica.
  • Azione biostimolante: migliorando i processi energetici cellulari e incrementando i processi riparativi dei tessuti e la produzione di collagene.
  • Azione antiedemigena: aumenta il drenaggio da parte dei linfatici delle sostanze edemigene.
Vediamo quali possono essere le indicazioni terapeutiche della laser terapia:
Artrosi dell’anca
Artrosi del ginocchio
Artrosi del gomito
Artrosi della spalla
Cistite idiopatica
Contrattura muscolare
Dermatite interdigitale
Edemi
Ematomi
Ferite cutanee
Ferite cutanee infette
Ferite cutanee estese
Fistole perianali
Gengiviti
Granulomi da leccamento
Granulomi lineari
Otiti acute e croniche
Piaghe da decubito
Post-operatorio tessuto molli
Post-operatorio nelle fratture
Post-operatorio chirurgie osteo/articolari
Protrusioni discali
Sieromi
Spondilosi/spondiloartrosi
Strappi/stiramenti muscolari
Prossimamente tratteremo dettagliatamente ognuno di questi punti e approfondiremo il discorso fisico del funzionamento del laser. Continua a seguirci e se hai bisogno per il tuo cane/gatto o hai bisogno anche solo di un consulto chiamaci in clinica senza impegno (0116471100) saremo felici di aiutarti.
Articolo a cura del Dott.  B. Borgarello, della Clinica Veterinaria Borgarello.
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venerdì 19 luglio 2013

La valutazione della visione nel cane e nel gatto

La visita oculistica inizia con la determinazione indiretta della visione, solo in un secondo tempo verranno prese in esame le varie strutture oculari e perioculari. L’animale dovrebbe essere osservato in movimento nella sala visite lasciandolo libero di muoversi ed esplorare l’ambiente. Un soggetto con difficoltà visuali può urtare contro oggetti nella stanza oppure essere riluttante a muoversi in un ambiente sconosciuto. La valutazione della visione prosegue poi con l’esecuzione di alcuni test specifici: eccone un breve elenco.

valutazione della visione

Risposta alla minaccia

La risposta al minaccia consiste nell’effettuare un improvviso gesto di minaccia che si presume in grado di suscitare una risposta di ammiccamento nel paziente. Il ramo afferente della risposta è costituito dalla retina, dagli assoni del nervo ottico, dal tratto ottico e dalla corteccia visiva. La componente efferente della risposta comprende la corteccia motoria primaria, il cervelletto ed il nucleo del settimo paio di nervi cranici. E’ importante notare che la risposta alla minaccia riguarda l’integrazione e l’interpretazione a livello cerebro corticale e , quindi, non è un semplice riflesso. Piuttosto , si tratta di una risposta corticale che, per manifestarsi, richiede l’integrità delle vie visive periferiche e centrali nonché della corteccia visiva e del nucleo facciale del VII paio di nervi cranici. La risposta alla minaccia va valutata in un occhio alla volta, mentre l’altro viene coperto. Bisogna fare attenzione a non toccare le ciglia o i peli del paziente perché ciò potrebbe determinare una risposta “falsa positiva”. Analogamente, sono anche possibili risultati “falsi negativi”, ad esempio per la paralisi del nervo facciale o se il paziente è particolarmente giovane (nei cuccioli questo tipo di risposta non è fisiologicamente presente).

Cotton ball test

Questo esame è in grado di valutare la capacità di vedere un oggetto in movimento anche in cani e gatti giovani che non rispondono ancora al test della minaccia. L’esame si esegue facendo cadere un batuffolo di cotone nel campo visivo del paziente: se la visione è normale l’animale effettuerà un movimento con la testa, o anche solo con gli occhi, seguendo il batuffolo che cade. Il cotone ha la caratteristica di essere inodore e non produrre suoni, per cui non si possono ottenere risultati positivi in pazienti non vedenti.

Percorso ad ostacoli

Consiste nel realizzare un breve percorso inserendo degli ostacoli: facendo percorrere il tracciato al paziente saremo in grado di capire se è in grado di vedere e superare gli ostacoli.

Risposta del piazzamento visivo

Utile nei gatti o quando i risultati del percorso ad ostacoli e della risposta alla minaccia sono equivoci: consiste nel sollevare l’animale verso il tavolo, permettendogli di vedere la superficie che si avvicina. Un soggetto normale estende gli arti verso la superficie prima che le sue zampe tocchino il tavolo.

Infine, ulteriori test per valutare il sistema visivo devono comprendere esami di tipo neurologico(come già detto l’integrità delle vie nervose è fondamentale per la visione) ed esami diagnostici avanzati quali l’elettroretinografia (ERG), radiografie, TAC e risonanza magnetica.

A cura della Dott.ssa Valentina Declame

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martedì 16 luglio 2013

Panleucopenia felina

 

Panleucopenia clinicaborgarello

Iniziamo oggi un breve percorso sulle più comuni malattie infettive del gatto, partendo dalla panleucopenia felina. Alcune di esse (Felv, FIP, Herpesvirus) sono già state trattate in precedenza ma verranno rivisitate basandosi sulle più aggiornate fonti scientifiche, altre saranno affrontate ex novo.

La panleucopenia felina (PLF) è una malattia altamente contagiosa sostenuta da un DNA virus (FPV) strettamente correlato a quello che provoca la parvovirosi nel cane, parvovirus canino di tipo 2 (CPV2). Il FPV risulta piuttosto resistente nell'ambiente il che spiega la facilità e rapidità di diffusione soprattutto in zone ad alta concentrazione di gatti (gattili, allevamenti, pensioni). La principale via di trasmissione è quella oro-fecale, ma è contemplata anche un'infezione intrauterina.

La PLF colpisce principalmente gattini di 3-5 mesi, età in cui gli anticorpi materni tendono a diminuire, risultando spesso mortale; anche soggetti adulti, 4-5 anni, possono contrarre tale malattia se non vengono correttamente vaccinati, ma in questo caso c'è un minor tasso di mortalità.

L'infezione da FPV è diffusa in tutto il mondo e causa principalmente forme di enterite e panleucopenia oltre a malattie cerebellari, miocarditi, cardiomiopatie idiopatiche e morte fetale, se contratta nella prima metà della gravidanza.

Il segno clinico principale della panleucopenia felina, analogamente alla parvovirosi nel cane, è la diarrea dovuta a distruzione dei villi intestinali operata dal virus con riduzione, e talvolta scomparsa, delle cellule epiteliali intestinali. In realtà, oltre a questa presentazione “classica”, esistono altre più subdole e variabili sia per gravità che per sintomi.

  • la forma iperacuta e fulminante dà forte e improvvisa depressione, temperatura corporea al di sotto della norma e morte in 24 ore.

  • la forma acuta, invece, porta febbre (40-41°), anoressia, depressione del sensorio e dolore addominale; dopo 24-72h possono subentrare vomito e diarrea con feci liquide, copiose e talvolta emorragiche. Soggetti molto giovani sono destinati a morire per grave disidratazione se non si interviene velocemente con un adeguata terapia di supporto, soprattutto fluidi endovena. Alla palpazione addominale, nei gattini, si possono percepire irregolarità intestinali e linfonodi mesenterici ingrossati; altri possono presentare petecchie ed ecchimosi diffuse per il formarsi di una coagulazione vasale disseminata (CID). Il danno a livello di mucosa intestinale, tra l'altro, crea un ambiente batterico anomalo che favorisce gravi infezioni sistemiche ovvero setticemie con morte nel 90-95% dei casi.

  • la forma subacuta provoca un modesto rialzo della temperatura corporea, depressione ed enterite, talvolta, emorragica. I segni clinici durano due-tre giorni ma, con una buona terapia di supporto, il problema risulta risolvibile.

  • la forma subclinica, infine, è tipica dei soggetti adulti in cui non si hanno segni clinici ma agli esami di laboratorio si può riscontrare una riduzione dei globuli bianchi (leucopenia) da modesta a grave.

Panleucopenia. clinicaboragarello

Particolare attenzione va data a femmine che vengono a contatto col virus durante la gravidanza: l'infezione durante il primo trimestre porta a morte e riassorbimento fetale, se invece avviene più tardivamente determina nascita di gattini con ipoplasia cerebellare (sindrome cerebellare felina). I segni neurologici possono comparire già a tre settimane di vita, ma talvolta i soggetti sopravvivono convivendo con un deficit motorio. Nei casi più gravi, invece, possono subentrare convulsioni, alterazione del comportamento e danno retinico, disgiunto da quello cerebellare.

La diagnosi di PLF si fa' basandosi sulla storia dell'animale, l'età, la presenza dei segni clinici sopra descritti , la diagnostica per immagini e il riscontro di una concomitante panleucopenia grave.  Esistono kit diagnostici commerciali (ELISA) utilizzati nella diagnosi di parvovirosi canina che possono essere adottati anche in corso di panleucopenia felina, mentre poco utile è l'isolamento del virus nelle feci. La conferma definitiva si può avere solo dall'esame istopatologico post mortem del piccolo intestino, milza e linfonodi mesenterici e dal riscontro di ipoplasia cerebellare nel feto e nei neonati

eco panleucopenia

L'elevata contagiosità, la facilità di diffusione oltre alle gravi conseguenze dell'infezione, soprattutto nei gattini, suggeriscono di prevenire tale malattia eseguendo regolari vaccinazioni secondo i protocolli standard.

Non esiste una terapia specifica per la PLF: il rischio di mortalità può essere ridotto intervenendo repentinamente con una terapia di supporto mirata alla sintomatologia. La somministrazione di fluidi endovena con integrazione di elettroliti è un primo e fondamentale passo. Negli animali che vomitano, si sconsiglia una somministrazione forzata di cibo per bocca fino a quando non si è bloccata l'emesi con farmaci mirati (es: metoclopramide 0,2-0,4 mg/kg ogni 6-8 ore) e protettivi gastrici. Nei gatti con grave anemia, ipotensione e ipoproteinemia è consigliata una trasfusione. Importante risulta una copertura antibiotica a largo spettro per scongiurare il rischi di setticemie (amoxicillina/ clavulanico, cefalosporine o ampicilline con aminoglicosidi, fluorochinoloni o metronidazolo); anche in questo caso è preferibile, fin quando si ha una sintomatologia gastroenterica acuta, somministrali per via parenterale. In soggetti privi di sintomi ma ad elevato rischio di contagio, infine, sono state prese in considerazione due opzioni preventive. La prima prevede l'utilizzo di siero iperimmune contenente anticorpi anti FPV; la seconda, maggiormente utilizzata, è la via dell'interferone felino ricombinante (fIFNomega) che può ridurre la mortalità di 4-6 volte. Tanto più precocemente si interviene, tanto maggiore ne risulta l'efficacia: l’interferone viene somministrato alla dose di 2,5MU/kg EV ogni 24 ore per 3-4 giorni e l’effetto si monitora eseguendo conte leucocitarie per 48-72h. Di solito l'innalzamento dei globuli bianchi avviene entro 1-2 giorni.

A cura della dott.ssa Martina Chiapasco della Clinica Veterinaria Borgarello.

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giovedì 11 luglio 2013

Morso di vipera nel cane

Trattiamo un argomento sempre attuale come il morso di vipera nel cane. Situazione non frequente ma drammatica e di difficile gestione nel momento della sua comparsa. Il problema del morso da vipere interessa tutti i cani, sia quelli da lavoro che quelli da compagnia, che frequentano le zone alpine e prealpine.
In Italia su 8 specie presenti soltanto due risultano velenose: la vipera comune (Vispera Aspis) e il marasso (Vipera berus), diffusi soprattutto nella fascia alpina e nella parte occidentale della Giura.

VIPERA ASPIS (1)

In realtà le vipere sono animali piuttosto rari e, pertanto, protetti dalla legge sebbene in alcune aree risultino numerose; sono attive da Febbraio ad Ottobre, prediligono luoghi soleggiati e tendono a ripararsi negli anfratti (cataste di legno, materiali da costruzione, muri a secco, ecc..) o nelle fenditure del terreno. Con clima molto piovoso e umido o, all'opposto, decisamente caldo e secco, sono solite rimanere nascoste.
Differenziare un serpente velenoso da uno innocuo è meno difficile di quanto si pensa, purché si abbia la freddezza e la cautela di osservarlo, in sicurezza. In linea generale si può procedere così:

serpenti velenosi e innocui

Il veleno delle vipere europee ha un effetto prevalentemente emolitico (distruzione dei globuli rossi) con conseguenti emorragie nella zona della morsicatura (macchie rosso- bluastre).
I sintomi principali, conseguenti a morso di vipera, sono:
  • vivo dolore e veloce comparsa di gonfiore nell'area morsa oltre al segno dei due denti: col passare delle ore diffusione del colorito rosso-bluastro nella zona circostante
  • a mezz'ora/un'ora dal morso, iniziano sintomi generali quali stanchezza, sonnolenza, perdita d'equilibrio,respiro accelerato e affannoso fino a calo pressorio brusco e stato di shock
  • stanchezza, sonnolenza e perdita di equilibrio
  • raramente diarrea e vomito emorragico
  • urine rossastre, in casi avanzati
Nel momento in cui il cane viene morso bisogna cercare di impedirgli di muoversi ed immobilizzare la parte, perché l'attività fisica accelera la diffusione del veleno a livello circolatorio. Se il cane è stato morso ad una zampa, la prima cosa da fare è applicare una fasciatura leggermente compressiva, a monte della parte colpita ovvero alcuni centimetri sopra al punto morsicato. Lo scopo è quello di rallentare il circolo sanguigno, ma NON DI BLOCCARLO: fare quindi in modo che possa passare un dito tra la fasciatura e la pelle del cane , evitando di lasciarla per più di due ore.
I vecchi testi consigliavano di disinfettare al meglio la zona interessata e, dopo aver individuato i due fori, praticare una lieve incisione che li unisca per far fuoriuscire il sangue misto a veleno. Tale pratica è tutt'altro che scevra da inconvenienti e il nostro consiglio è quello di cercare , il più in fretta possibile un veterinario per instaurare le prime cure.
Durante il tragitto è necessario avvisare il Medico Veterinario del proprio arrivo indicando chiaramente che si tratta di un morso di vipera; vista la non frequenza di questo problema si può accennare al Medico Veterinario di consultare questo link per notizie fresche sul trattamento: .

La terapia:
  • fluidoterapia (soluzione fisiologica 20- 50 ml/kg/h) necessaria a limitare i rischi di collasso cardio-circolatorio e a sostenere la funzionalità epatica e renale;
  • antibiotico ad ampio spettro (ad esempio amoxicillina e ac.clavulanico 12,5 – 25 mg/kg ogni 12 ore);
  • farmaci antinfiammatori steroidei (prednisolone 1- 2 mg/kg ogni 24 h);
  • siero antiofidico: il suo utilizzo è piuttosto discusso per la sua potenziale pericolosità (può indurre shock anafilattico dal momento che si tratta di siero eterologo), inoltre è al momento molto difficile da reperire ed il suo utilizzo è limitato all'ambito ospedaliero. Il siero antivipera veniva prodotto soprattutto nei territori dell'ex Jugoslavia da cavalli immunizzati con il morso di vipera, ma dopo gli sconvolgimenti sociali e politici che hanno attraversato quelle regioni la sua produzione si è drasticamente ridotta.
Se l’intervento medico è rapido ci sono buone possibilità che il paziente superi la prima fase critica dell’avvelenamento: dovrà comunque essere monitorato e tenuto in terapia intensiva per almeno 72 ore dal momento che alcuni effetti a livello ematico (disordini coagulativi con rischio di emorragie) e di organo (soprattutto a carico di fegato e reni) possono presentarsi anche a distanza di diverse ore dal morso. Possono manifestarsi anche alcuni sintomi neurologici quali deficit motori o, più comunemente, solo aree di ipersensibilità nella parte colpita.
Nel periodo successivo alla fase acuta sarà cura del medico veterinario supportare e monitorare attraverso opportuni esami di laboratorio ed in particolare:
  • esame emocromocitometrico;
  • esame ematobiochimico (in particolare i valori di creatinina, azotemia, fosfatasi alcalina, ALT, GGT, GOT, bilirubina per valutare la funzionalità renale ed epatica che possono risultare compromessi dall’azione tossica del veleno);
  • profilo coagulativo;
  • esame urine (in particolare proteinuria, rapporto PT/Crea).
Infine, vi riportiamo qui di seguito il recapito dei principali centri antiveleni in Italia:
  • CENTRO ANTIVELENI AZIENDA OSPEDALIERA "S.G.BATTISTA" – MOLINETTE DI TORINO CORSO A.M. DOGLIOTTI, 14 TORINO 011/6637637
  • CENTRO ANTIVELENI OSPEDALE NIGUARDA CA' GRANDA P.ZZA OSPEDALE MAGGIORE, 3 MILANO 02/66101029
  • INTOSSICAZIONI ACUTE DIP.DI FARMAC."E.MENEGHETTI" UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA LARGO E.MENEGHETTI,2 PADOVA 049/8275078
  • SERVIZIO ANTIVELENI SERV.PR.SOCC.,ACCETT. E OSS. ISTITUTO SCIENTIFICO "G. GASLINI" LARGO G. GASLINI, 5 GENOVA 010/5636245
  • CENTRO ANTIVELENI - U.O. TOSSICOLOGIA MEDICA AZIENZA OSPEDALIERA CAREGGI VIALE G.B. MORGAGNI, 65 FIRENZE 055/4277238
  • CENTRO ANTIVELENI POLICLINICO A.GEMELLI - UNIVERSITA' CATTOLICADEL SACRO CUORE LARGO F.VITO, 1 ROMA 06/3054343
  • CENTRO ANTIVELENI - ISTITUTO DI ANESTESIOLOGIA E RIANIMAZIONE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA" VIALE DEL POLICLINICO, 155 ROMA 06/49970698
  • CENTRO ANTIVELENI AZIENDA OSPEDALIERA A. CARDARELLI VIA CARDARELLI, 9 NAPOLI 081/7472870
Articolo a cura della dott.ssa V. Declame ott.  B. Borgarello componenti  staff della Clinica Veterinaria Borgarello 

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venerdì 5 luglio 2013

Il vaccino contro la Leishmaniosi canina

CaniLeish è il nuovo strumento decisivo per la prevenzione della Leishmaniosi canina.
E' un farmaco che si differenzia da un normale vaccino perché utilizza solo una ridotta parte delle proteine presenti nel parassita intero. Queste si chiamano ESP, proteine escrete – secrete, e sono prodotte da Leishmania.

Dana 04-07 (5)

Gli studi hanno dimostrato che le ESP di Leishmania infantum sono i migliori fattori stimolanti risposta immunitaria efficace contro il parassita. Invece, un vaccino tradizionale che utilizzi parassiti interi uccisi, conterrebbe delle proteine (ne sono state isolate più di 2000!) potenzialmente dannose se inoculate. Una percentuale significativa delle ESP è costituita da importanti antigeni di superficie chiamati PSA, che costituiscono un target antigenico efficace e presente a livelli elevati in tutti gli stadi di sviluppo del parassita, quindi adatto ad innescare una buona risposta immunitaria in tutte le fasi della malattia.

CaniLeish è indicato nei cani a partire dai sei mesi di età. Il primo ciclo di vaccinazione è costituito da tre iniezioni a distanza di tre settimane l’una dall’altra.

vaccino leishmaniosi

L’immunità cellulo – mediata adatta a contrastare la Leishmaniosi viene raggiunta quattro settimane dopo il completamento del ciclo primario. Successivamente per mantenere questa immunità è necessario un vaccino annuale. Quindi, poiché l’insorgenza dell’immunità sarà completata solo dopo 10 settimane dalla prima iniezione di CaniLeish, è importante evitare il contatto con i flebotomi durante questo intero periodo.

Per una protezione ottimale del vostro cane è comunque necessario associare alla vaccinazione l’utilizzo di repellenti specifici contro i flebotomi.

Tra i prodotti specifici da utilizzare come repellenti per il flebotomo si trovano in commercio sia formulazioni spot on che come protector band.

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martedì 2 luglio 2013

L’anemia emolitica neonatale

L’anemia emolitica neonatale nel gattino e nel cucciolo è una patologia che si manifesta nel neonato in seguito ad una incompatibilità di gruppi sanguigni materno-fetali.
L’immunizzazione della madre contro il gruppo sanguigno di uno o più feti determina la produzione di anticorpi. Questi ultimi vengono trasferiti al neonato tramite il colostro nelle prime 12-18/h di vita. Le conseguenze possono essere letali in quanto queste immunoglobuline sono in grado di agglomerare e lisare i globuli rossi del neonato determinando una grave emolisi intra ed extravascolare.
 
Questa grave patologia si riscontra con maggior frequenza nel gattino rispetto al cucciolo e si può verificare già al primo parto in assenza di una sensibilizzazione materna preliminare.
L’evento scatenante è legato al gruppo sanguigno materno. Si ricorda che nel gatto è stato descritto un unico sistema di gruppi sanguigni che riunisce due antigeni, espressi sia da soli sia in combinazione: tipo A, tipo B e tipo AB.
Solo un terzo di gatti di gruppo A possiede anticorpi anti-B che hanno uno scarso potere immunogeno. Al contrario tutti i gatti appartenenti al gruppo B possiedono anticorpi anti-A a titolo elevato e ad alto potere immunogeno.

anemia-emolitica-neonatale

La patologia in questione è stata osservata solo nel caso di accoppiamenti tra madre di gruppo sanguigno B e padre di gruppo sanguigno A. Da questa unione nasceranno gattini di gruppo A o AB che assumeranno anticorpi anti-A dalla madre tramite il colostro. Questi anticorpi una volta raggiunto il circolo dopo l’assorbimento intestinale determineranno la distruzione dei globuli rossi neonatali con conseguenze drammatiche.
La prevalenza di gatti con gruppo B è rappresentata nella figura sottostante.

anemia-emolitica-del-neonato

Per quanto riguarda il cucciolo la patologia è meno frequente. Innanzitutto perché la patologia si manifesti occorre una preliminare sensibilizzazione della femmina. La sensibilizzazione avviene durante una trasfusione di sangue da donatore con gruppo differente dalla ricevente. Questo determina quindi la formazione di anticorpi contro quello specifico gruppo sanguigno estraneo.
La patologia può manifestarsi nel cucciolo quando la madre trasfusa precedentemente viene fatta accoppiare con un maschio appartenente allo stesso gruppo del donatore. Le modalità di insorgenza sono le stesse già viste per il gattino.
La gravità della sintomatologia è proporzionale alla velocità d’insorgenza. Tutto dipende dalla quantità di anticorpi fabbricati dalla madre che passa nel latte ed è assorbita a livello intestinale dai cuccioli (per l’assorbimento occorrono da 36 a 72 ore).
Più il tasso anticorpale è alto e più in fretta la malattia porterà alla morte del cucciolo, più il tasso anticorpale è basso più i cuccioli avranno possibilità di superare la crisi.

Si riconoscono tre forme suddivise in base alla velocità di insorgenza e alla gravità della patologia.
Forma iperacuta: morte dei nascituri nei primi istanti di vita senza sintomi apparenti.
Forma acuta: si riconoscono tra i sintomi debolezza, incapacità di attaccamento alla mammella, anoressia, deperimento, emoglobinuria, ittero, necrosi della punta della coda, necrosi delle estremità.
Forma subacuta: a volte l’unico sintomo in questa forma è la necrosi della punta della coda e la maggior parte dei nascituri sopravvive.

La diagnosi viene fatta in base ai sintomi nel gattino, sospetto per razze predisposte, miglioramento delle condizioni del gattino dopo allontanamento dalla madre, determinazione del gruppo sanguigno dei riproduttori, autopsia (spleno-epatomegalia, ittero).

anemia-emolitica-gattino

Il trattamento prevede l’allontanamento dei nascituri dalla madre e la somministrazione di latte artificiale o l’adozione da parte di una balia.
Dopo circa 48 ore i neonati si possono ricongiungere con la madre poiché l’assorbimento di anticorpi tramite l’intestino non può più avvenire a causa di una drastica modificazione di permeabilità della mucosa intestinale.

In via preventiva bisogna sempre conoscere il gruppo sanguigno della madre.
Se appartenente al gruppo A o AB non ci saranno rischi.
Se appartenente al gruppo B bisognerà farla accoppiare con riproduttori appartenenti al gruppo B.
Se l’accoppiamento tra femmina di gruppo B e maschio di gruppo A o AB vuole essere ugualmente realizzato, bisogna evitare che i cuccioli prendano il latte dalla madre, almeno per i primi tre o quattro giorni, dandoli a balia a una femmina di gruppo A o utilizzando l’allattamento artificiale.
In conclusione possiamo capire quanto sia importante determinare il gruppo sanguigno di due riproduttori, soprattutto se di razza predisposta, giacchè gli anticorpi presenti nel colostro materno potrebbero scatenare l’insorgenza della malattia emolitica nei nascituri.

A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni della Clinica Veterinaria Borgarello.

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