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Le pulci costituiscono un problema per il cane e per il gatto durante tutto l’anno ma tipicamente i proprietari di animali se ne preoccupano solo nel periodo primaverile-estivo. Gli adulti sia maschi che femmine sono ematofagi e si nutrono sull’ospite in pochi secondi. Possono vivere sull’ospite ma anche nell’ambiente dove, a digiuno, possono sopravvivere fino a 6 mesi. Ogni femmina adulta depone nel corso della sua vita fino a 2000 uova sul mantello dell’ospite che non avendo proprietà adesive cadono rapidamente a terra in varie parti della casa.
In condizioni favorevoli le uova schiudono in circa 5 giorni e da esse fuoriesce una larva vermiforme ricoperta di peli che, nutrendosi di detriti, si sposta per la casa prediligendo zone riparate dalla luce solare diretta. Le larve crescono mutando due volte e formano un bozzolo all’interno del quale si trasformano in pupe. Questa trasformazione richiede, a seconda delle condizioni ambientali, da un minimo di 9 ad un massimo di 200 giorni. Le pupe rappresentano la forma di massima resistenza e non avendo necessità di nutrirsi possono sopravvivere per molto tempo.
In presenza di stimoli indicativi della presenza dell’ospite come il calore, le vibrazioni del suolo e la concentrazione di CO2 le pupe schiudono e fuoriescono le pulci che devono compiere il primo pasto di sangue entro 24 ore dalla schiusa e salgono quindi sull’ospite iniziando un nuovo ciclo vitale. In condizioni ottimali l’intero ciclo dura 3-4 settimane mentre se le condizioni sono sfavorevoli può durare fino a 2 anni.
La comprensione del ciclo della pulce è di fondamentale importanza perché mette in evidenza che le pulci adulte che si trovano sull’animale rappresentano solo la punta dell’iceberg dell’infestazione: infatti circa il 5% delle pulci si trova sull’animale mentre il restante 95%, rappresentato da uova, larve e pupe è disseminato nell’ambiente in cui l’animale vive.
L’infestazione da pulci si presenta con molteplici quadri clinici a seconda dell’animale e del numero di pulci presenti. Si possono però individuare 2 tipi principali di quadri clinici a seconda che l’animale sia sensibilizzato o no agli allergeni presenti nella saliva della pulce. Negli animali non sensibilizzati le pulci, che possono essere anche molto numerose, si muovono velocemente sul mantello e producono le loro deiezioni. Se l’infestazione è grave possono provocare anemia ed è comunque sempre possibile la trasmissione di malattie quali l’emobartonellosi o di parassitosi come la tenia. Negli animali sensibilizzati è sufficiente un numero di pulci molto basso per superare la soglia di ipersensibilità e provocare sintomi evidenti.
La Dermatite Allergica al morso delle Pulci (DAP) rappresenta una delle maggiori cause di prurito nei nostri animali domestici. L’allergia si sviluppa nei confronti di uno dei componenti della saliva della pulce e i segni clinici che di solito sono improvvisi si manifestano soprattutto in animali con “poche pulci”. Sembra infatti che gli animali molto infestati e abituati a convivere con le pulci possano sviluppare una sorta di “resistenza” al morso.
Il segno clinico più comune è rappresentato dal forte prurito soprattutto nella regione lombare, all’attaccatura della coda, sull’addome e sulla faccia interna delle cosce. A causa dell’intenso leccamento e grattamento dovuto al prurito la cute di queste zone si presenta fortemente infiammata. Secondariamente possono poi svilupparsi infezioni batteriche secondarie con pus, croste e alopecia.
La diagnosi si basa soprattutto sul quadro clinico anche se non è sempre possibile trovare le pulci. Più facile è il ritrovamento delle deiezioni delle pulci che si presentano come piccoli puntini neri.
La conferma si ha con la guarigione in seguito all’eliminazione delle pulci dall’animali e dall’ambiente.
La terapia della DAP è basata sul controllo dell’infestazione da pulci ed è possibile una terapia medica per alleviare i sintomi dell’allergia. Questa è fondamentalmente basata sull’uso di cortisonici a scalare e di antibiotici o shampoo se è presente infezione batterica secondaria.
Per controllare l’infestazione è fondamentale trattare tutti gli animali e l’ambiente in cui vivono e non limitare i trattamenti al periodo estivo ma protrarli per tutto l’anno poiché le pulci possono sopravvivere e replicarsi benissimo in casa durante il periodo invernale. Sono presenti in commercio numerosi prodotti efficaci contro le pulci che devono essere applicati ogni 3-4 settimane, ricordando di non trattare gli animali in concomitanza del bagno ma ad una distanza di almeno 3 giorni primo o dopo il lavaggio per garantire l’efficacia del prodotto.
Il trattamento ambientale consiste nel lavare coperte, cuccette e altri rivestimenti con cui l’animale viene in contatto, passare spesso l’aspirapolvere sui tappeti e trattare la casa con dei regolatori di crescita degli insetti. Visto l’impegno richiesto da queste operazioni è possibile, in alternativa, trattare tutti gli animali della casa con un prodotto che abbia anche attività ovicida e larvicida.
Articolo a cura della Dott.ssa Costanzo Francesca
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Tritrichomonas foetus è un parassita protozoario flagellato, responsabile di colite cronica nel gatto domestico, che ha destato un crescente interesse negli ultimi 15 anni, ponendolo tra le cause più frequenti di diarrea felina alla stregua della Giardia e di Cryptosporidium, già trattati nel precedente articolo.
L’infezione da Tritrichomonas foetus avviene per via oro-fecale ed è favorita da una stretta convivenza tra gatti oltre che da un’elevata densità di popolazione. A differenza di Giardia, Tritrichomonas non ha grande resistenza nell’ambiente quindi il numero e la concentrazione di felini in una stessa area diviene un fattore determinante per la diffusione della patologia, mentre non sembra esserci particolare predisposizione di razza o età.
Tritrichomonas f. provoca una colite cronica, talvolta ad andamento ricorrente, che dura molti mesi o addirittura anni. Essa si manifesta con emissione frequente di feci maleodoranti, molli, collose o liquide, con presenza di muco e, talvolta, sangue vivo. In casi molto protratti il gatto può manifestare tenesmo, flatulenza e infiammazione anale fino a prolasso rettale: nonostante questi segni, le condizioni generali dell’animale appaiono buone. Alcuni soggetti, inoltre, possono avere un’infezione asintomatica ed eliminare trofozoiti (forma infettante di Tritricomonas f.) durante la normale defecazione, il che li rende una fonte importante e difficilmente controllabile di diffusione del protozoo. La malattia sembra poter assumere andamento più grave in soggetti molto giovani o in adulti che vengono a contatto per la prima volta con il parassita. Non è infrequente una concomitante infezione da Giardia, Cryptosporidium o coccidi.
All’esame ecografico un referto frequente è l’ingrossamento dei linfonodi regionali nonché il corrugamento della parete del grosso intestino. Istologicamente si riscontra colite e tiflite linfo-plasmocellulare che, in casi gravi, può avere diffusione multifocale, aspetto ulcerativo o nodulare e assumere caratteristiche pio granulomatose (macrofagi e neutrofili) e necrotizzanti.
La diagnosi di tritricomoniasi è sempre diretta, microscopica, colturale o mediante PCR. L’analisi delle feci di routine, a fresco e per flottazione, ha scarsa sensibilità nell’identificare Tritrichomonas foetus, pertanto non risulta un esame elettivo per la diagnosi. Su materiale fecale appena raccolto talvolta è possibile osservare trofozoiti piriformi con motilità compulsiva; qualora si colori lo striscio, essi appaiono con nucleo unico, un flagello posteriore e tre anteriori e membrana ondulante. Esistono, poi, dei kit per mettere in coltura materiale fecale: si tratta di terreni specifici per Tritrichomonas ma, anche in questo caso, la sensibilità è bassa. La metodica più sensibile e specifica rimane la PCR e il materiale ideale su cui eseguirla sono le feci diarroiche.
La terapia migliore nei confronti di infezioni da Tritrichomonas si basa sull’utilizzo del ronidazolo (non disponibile in Italia) ad una posologia suggerita di 30mg/Kg una volta al giorno per 14 giorni; questo farmaco non va impiegato in gatte gravide o in lattazione. Il metronidazolo, invece, porta soltanto ad un transitorio miglioramento dei sintomi.
Ad oggi non esistono casi documentati di passaggio dell’infezione dal gatto all’uomo, si consiglia pertanto di ricorrere alle normali precauzioni igieniche qualora si debba maneggiare materiale fecale di soggetti infetti.
A cura della dott.ssa Martina Chiapasco della Clinica Veterinaria Borgarello.
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Si tratta di una patologia infiammatoria del cavo orale, molto comune, che colpisce i gatti senza apparente predilezione di razza, di sesso o di età. Per descrivere questa malattia, sono stati utilizzati diversi termini, quali stomatite plasmacellulare, stomatite cronica felina. In passato la gengivostomatite cronica felina è stata spesso erroneamente descritta come lesione da complesso del granuloma eosinofilico.
L' eziopatogenesi non è ancora chiara, si suppone che siano agenti causali i batteri della placca sopra-sotto gengivale, alcuni virus (Calicivirus) e stati di immunodeficienza (FIV e/o FeLV). Attualmente si attribuisce alla gengivostomatite cronica un'eziologia multifattoriale e si pensa che le lesioni del cavo orale siano conseguenza della risposta infiammatoria dell'organismo a stimoli persistenti di natura batterica e virale. Va sottolineato a questo proposito che, con l'esclusione di alcuni soggetti immunodepressi, i gatti colpiti da questa condizione patologica mostrano una risposta immunitaria normale, sia umorale che cellulare. Nonostante ciò si ritiene che il sistema immunitario rivesta un ruolo importante, anche se non è ancora stato individuato quale esso sia.
Dal punto di vista istopatologico, è possibile distinguere due tipi di stomatite cronica erosivo-ulcerativa: il primo, caratterizzato da denso infiltrato di linfociti e plasmacellule nella sottomucosa, il secondo, caratterizzato invece da infiammazione cronica attiva, con presenza di neutrofili della mucosa e sottomucosa. Spesso è interessato anche l'osso alveolare, che mostra infiltrato infiammatorio misto ad alterazioni litiche della struttura.
Il quadro clinico riporta i segni di infiammazione acuta, i quali si evidenziano con alitosi, scialorrea, difficoltà alla prensione e/o alla masticazione del cibo, inappetenza o anoressia, e conseguente perdita di peso. Spesso per eseguire l'esame del cavo orale è necessaria la sedazione profonda o l'anestesia generale a causa del forte dolore provocato delle lesioni. Generalmente si possono identificare due aspetti clinici principali, che possono variamente combinarsi tra:
Gengivite e stomatite: l'infiammazione coinvolge soprattutto le gengive e la mucosa buccale, e in misura minore le mucose palatolinguali. Soprattutto a livello dei denti premolari e molari, meno frequente è il coinvolgimento della regione degli incisivi e dei canini.
Faucite: infiammazione localizzata soprattutto nella porzione distale del cavo orale.
Quasi sempre le lesioni della gengivostomatite cronica felina sono associate alla presenza di placca e tartaro, e di malattia parodontale, con conseguente linfoadenopatia regionale.
La diagnosi è basata sulla valutazione dei segni clinici e dalla sintomatologia, si raccomanda comunque un prelievo bioptico della mucosa e dell'osso alveolare. Per valutare le caratteristiche dell'infiammazione della mucosa può essere sufficiente l'esame citologico. L'esame clinico deve poi essere completato da controlli ematologici, sierologici e infettivi (FIV-FeLV), e da uno studio radiografico completo del cavo orale per accertare l'esistenza di parodontopatie o di frammenti di radici ritenute.
A cura della dott.ssa Noemi Faccoli della Clinica Veterinaria Borgarello.
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L’incontinenza urinaria è definita come un’inappropriata emissione di urina che, di solito, insorge per difficoltà di raccolta dell’urina all’interno della vescica.
Le forme di incontinenza urinaria osservate più frequentemente sono rappresentate dall’incontinenza da stimolo infiammatorio e quella influenzata da secrezioni ormonali.
L’incontinenza si verifica quando la pressione interna della vescica supera quella esercitata dal muscolo sfintere dell’uretra. Il controllo dello svuotamento è mediato da stimoli nervosi volontari e involontari.
I disturbi della minzione possono essere suddivisi in due grandi categorie: disturbi di tipo neurologico e disturbi di tipo ormonale.
La condizione di incontinenza può anche essere provocata dall’età avanzata e da alcune patologie come il diabete, la piometra, l’iperadrenocorticismo, l’ipercalcemia.
Cause di incontinenza urinaria nella femmina
Cause di incontinenza urinaria nel maschio.
Anche nei maschi si possono avere cause di origine neurologica oppure cause di origine infiammatoria. Spesso si può avere incompetenza del meccanismo dello sfintere uretrale dopo la castrazione, anche se meno frequente rispetto alla femmina. In condizioni normali una prostata di normali dimensioni può esercitare una trazione sull’uretra, mantenendo il collo della vescica più craniale rispetto al margine del pube. Dopo la castrazione la riduzione della prostata provoca uno spostamento caudale del collo della vescica che verrà ad assumere una posizione intrapelvica. Inoltre una prostata di normali dimensioni comprime fisiologicamente l’uretra prostatica aumentando così la resistenza uretrale al flusso dell’urina.
Diagnosi
La sintomatologia principale dell’incontinenza urinaria è la perdita involontaria di urine. Questa si può verificare durante il sonno, durante la veglia e quando vi è un aumento di pressione in addome, cioè quando l’animale è sdraiato o quando abbaia o è eccitato. Le indagini che devono essere effettuate sono:
-esame neurologico
-esame delle urine
-urografia discendente e uretrografia con mezzo di contrasto
-ecografia
-elettromiografia
-esame ematochimico completo
Terapia medica
Il trattamento delle cagne incontinenti con estrogeni è stato per alcuni anni la terapia standard. Gli estrogeni accrescono il tono dello sfintere uretrale interno sensibilizzando i recettori a-adrenergici nei confronti delle sostanze a-agoniste. Oggi sono scarsamente utilizzati poiché vengono riconosciuti possibili effetti collaterali come la depressione midollare. Vengono preferite sostanze simpaticomimetiche che stimolano i recettori del collo della vescica e dell’uretra craniale aumentando il tono dell’uretra e le chiusura dello sfintere. In particolare la fenilpropanolamina cloridrato è uno dei più sicuri a-agonisti per uso clinico. L’efficacia della fenilpropanolamina è del 90-92% nella femmina, mentre nel maschio è del 50%.
Terapia chirurgica
In letteratura vengono riportati diversi interventi chirurgici per la risoluzione dell’incontinenza urinaria, che comprendono l’Atopa, iniezioni di teflon, iniezione di collagene, colposospensione, cistouretropessi, protesi sfinteriche. In particolare i risultati della colposospensione dimostrano che questa è la procedura con la quale si è risolta l’incontinenza urinaria nelle cagne, in quanto vi è la ricollocazione del collo della vescica in posizione intra-addominale con spostamento craniale della vagina e conseguente spostamento craniale del collo della vescica. Nel cane maschio l’intervento più sicuro è lo spostamento craniale della vescica ottenuto agendo con una leggera tensione sui dotto deferenti fino a che la prostata non viene spostata cranialmente di circa 1 centimetro. Questo intervento associato a una terapia medica adeguata porta a risoluzione circa l’ 85% dei casi di incontinenza nel maschio.
A cura della dott.ssa Katiuscia Camboni della Clinica Veterinaria Borgarello.
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La leishmaniosi è una malattia sostenuta da parassiti appartenenti ai protozoi. L'agente principale della leishmaniosi nelle aree mediterranee è la Leishmania infantum, un parassita in grado di colpire soprattutto il cane, ma spesso anche l’uomo. E’ veicolata da un insetto, il flebotomo e, proprio per questo motivo, la trasmissione del parassita avviene soprattutto in estate. Dopo che il parassita ha punto l’animale, gli amastigoti della Leishmania infettano i macrofagi del derma. Se l’ospite non attiva una risposta immunitaria protettiva nei suoi confronti, il microrganismo si moltiplica e si diffonde in tutto l’organismo, causando la patologia. La forma viscerale presenta un coinvolgimento multiorgano in seguito all’infezione del sistema reticolo endoteliale. Il microrganismo deprime l’immunità del sistema delle cellule T (utili nel contrastare la patologia), mentre aumenta l’attività delle cellule B (coinvolte nella manifestazione dei sintomi tipici della malattia). Dal momento che ogni cane reagisce in modo soggettivo all’infezione del parassita, il periodo di incubazione varia da pochi mesi ad alcuni anni.
La maggior parte dei pazienti con leishmaniosi viene sottoposta a visita clinica per la manifestazione di sintomi dermatologici, segni sistemici quali anoressia e dimagrimento, zoppie, linfoadenomegalia. Inoltre possono essere visibili alcuni segni oculari e, nel 15 % dei casi, questi rappresentano il solo segno della patologia. Si suppone che le manifestazioni oculari siano il risultato di una combinazione tra l’infiltrazione diretta del microrganismo e la risposta immunitaria dell’animale.
In questi pazienti il risultato dell'esame oftalmologico può essere molto variabile. In alcuni casi gli occhi si presentano nella norma (soprattutto nelle fasi iniziali della malattia), in altri pazienti è possibile osservare invece un ispessimento delle palpebre, associato a segni di infiammazione ed alopecia della zona perioculare. Altri presentano chemosi e congiuntivite marcata, con o senza lesioni corneali. Si possono notare noduli in corrispondenza del limbo corneale e occasionalmente si evidenziano ulcere e vascolarizzazione corneale. Sono invece reperti comuni l'uveite anteriore, con miosi, intorbidimento dell'umor acqueo ed edema irideo. I pazienti che presentano questi segni clinici spesso hanno anche dolore e possono essere ciechi. Se il fondo oculare è ispezionabile, è possibile riscontrare segni di corioretinite. Raramente è presente cellulite orbitale associata ad esoftalmo dolente. E' importante eseguire sempre il test di Schirmer per valutare la produzione di lacrime: alcuni cani hanno infatti anche cheratocongiuntivite secca. Anche la misurazione della pressione intraoculare rappresenta uno step fondamentale: il glaucoma secondario rappresenta infatti una delle complicazioni caratteristiche della malattia.
Oltre alla terapia specifica nei confronti della leishmaniosi è necessario effettuare anche un trattamento sintomatico nei confronti dei segni oculari: in caso di uveite si utilizza una combinazione di steroidi topici e atropina in collirio. Potrebbe essere necessaria la terapia specifica per la cheratocongiuntivite secca, oppure antibiotici topici in caso di ulcera corneale. Potrebbe essere necessario somministrare una terapia nei confronti del glaucoma o, in presenza di blefariti ulcerative, antibiotici sistemici come cefalessina o amoxicillina e acido clavulanico. Per ciò che riguarda il glaucoma occorre ricordare che, essendo una patologia dolorosa, se la terapia medica non riesce a controllarlo ed il paziente diventa cieco, può essere necessario procedere con l'enucleazione.
La prognosi di leishmaniosi deve essere riservata. Molti casi infatti rispondono bene al trattamento iniziale, ma sono frequenti le recidive. Talvolta con la recidiva cambia il quadro clinico: è in questa fase, ad esempio, che possono manifestarsi segni clinici oculari precedentemente assenti. La prognosi è generalmente migliore se le lesioni sono a livello degli annessi oculari (in particolar modo le palpebre), piuttosto che se coinvolgono i comparti interni dell'occhio come l'uveite o il glaucoma.
A cura della Dott.ssa Valentina Declame
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